Riflessioni

VI Domenica Tempo Ordinario – 14 Febbraio 2021

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura

Dal libro del Levìtico
Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento».

Parola di Dio

Salmo Responsoriale

R. Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia.

Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno. R.

Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato. R.

Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!
Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia! R.

Seconda Lettura

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.
Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.
Parola di Dio

Alleluia, alleluia. Un grande profeta è sorto tra noi, e Dio ha visitato il suo popolo. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Parola del Signore

RIFLESSIONE

La guarigione del lebbroso.

 … venne un lebbroso, lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi!”                                                                        Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!»                                                                                                                                                                        E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

Riflettiamo.

Al tempo di Gesù il lebbroso era considerato un impuro colpito da Dio perché la malattia era ritenuta segno di peccato.                                                                           

Non si conosceva rimedio per il terribile flagello della lebbra; per evitare la diffusione tra quelli che erano sani, il lebbroso era condannato a un’esistenza di solitudine, un inferno in terra. L’esclusione era motivata da motivi sanitari e determinava l’isolamento.           

Nota bene.

Il lebbroso è simbolo drammatico dell’uomo escluso dalla vita.

Simbolo della solitudine e dell’isolamento. I tratti che segnano l’uomo dei nostri giorni, prigioniero del proprio lavoro, dei propri interessi … e del Covid-19.

Si pensi anche all’uso del cellulare; si passano ore on line tra sms, chattando o navigando, su wapp; pur stando uno vicino all’altro, non ci parliamo ma continuiamo a tenere lo sguardo fisso sul telefonino … isolati.

Siamo in contatto ma non in relazione con gli altri.

Il novecento letterario ha messo in luce questo dramma dell’uomo: l’impossibilità di stabilire rapporti tra le persone.                                                                                                                                                 

Pierpaolo Pasolini è stato uno dei più importanti scrittori del secolo passato; anche regista, e giornalista. Ha scritto molte poesie con linguaggio che havicinanza alla lingua quotidiana. Nelle poesie è riuscito a racchiudere tutta la grandezza dei suoi sentimenti.

Una  notte di Novembre vede svanire la parabola intellettuale ed umana di un uomo solo. Per P.P.P. la solitudine non è esito di un vissuto (militanza politica, esibita diversità sessuale) … ma ha un carattere profondo; sta sul fondo dell’essere.

Questa poesia, di cui leggiamo la seconda parte, è il grido di un uomo che soffre la solitudine.

Senza di te tornavo,  da Carne e cielo, 1945 – 1946.        

Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco                           

c’è solo l’ombra.
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest’angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.

A chi è dedicata? Non è facile rispondere.

Il poeta grida la propria solitudine. L’uomo è solo.

Attenti.

Si può essere in mezzo a migliaia di persone – come a via Luca Giordano per lo shopping o a Piazza Fuga in un mare di giovani che la affollano  … o connessi ad una piattaforma on-line con decine di contatti – ed essere soli. Soli come cani. (La frase deriva dall’osservazione che un cane tenuto isolato, lontano dai propri simili (come spesso succede ai cani da guardia), è sofferente e bisognoso di compagnia. Il cane è, infatti, al pari dell’uomo, un animale sociale).

Perché?

Perché la solitudine vera non è data dal fatto di essere soli fisicamente, ma dalla scoperta che un nostro fondamentale problema non può trovare risposta in noi o negli altri.

                                                                                                                                                                           5. La buona notizia.                                                                                                                                          

Cristo è la grande Presenza che libera l’uomo dalla solitudine e dall’isolamento; lo reintegra nel contesto umano. Si fa compagno di ogni uomo attraverso i nostri corpi e le nostre anime, attraverso la materialità della nostra esistenza.

Dipinti:

– Antonio Berté, l’Omino Kafkiano.

(Napoli, 6 agosto 1936Napoli, 17 luglio 2009) è stato un pittore italiano; Vomerese. Giornalista pubblicista, laureato in Lettere Classiche. Fin da ragazzo scopre l’amore per l’Arte ed una vocazione per la pitturaA Napoli il giovane pittore vive nella zona dell’Infrascata, quartiere popolare nelle adiacenze di via Salvator Rosa, tra Materdei e il Vomero.

Antonio Berté trasferisce l’abitazione e lo studio a Torre Caselli, villa di campagna dei Marchesi Caselli, nella zona dei Colli Aminei; ( oggi edificio abbandonato che versa in pessime condizioni)  la firma dell’artista sulla facciata, circa 1970.

Il presidente della Repubblica Sandro Pertini lo nominò Cavaliere.

La sua pittura descrive alti momenti di letteratura.

Questo dipinto è ispirato alla poesia di Giacomo Leopardi.

Esamina il disagio esistenziale dell’uomo. Protagonista è l’Omino Kafkiano. La sua pittura ha come tema dominante la solitudine. Il silenzio dei suoi personaggi è un atto di accusa verso un mondo indifferente; l’uomo capace di passeggiare sulla luna e di realizzare miracoli nel campo della scienza non riesce a comunicare col proprio simile.

Cristo è venuto per liberarci dalla solitudine, il male che sta sul fondo del cuore dell’uomo

– Rembrandt, volto di Cristo, circa 1648-56,  Musei d’arte di Harvard.

Rembrandt cercò un modello nella comunità ebraica di Amsterdam per avere davanti un tipo umano «etnograficamente vicino a Cristo».

SEZIONE FANCIULLI

E’ la gioia che fa cantare